Lucio e la Musica Classica
Lucio amava tutta la musica, stava nella musica come il topo nel formaggio (o, meglio, come il ragno nella ragnatela infinita delle note e dei suoni). E amava soprattutto la musica popolare, quella che mette insieme l’emozione e la passione, che lega il cielo e la terra. Era cresciuto negli anni del dopoguerra, Lucio, e aveva dovuto inventarsi tutto, anche la musica. Lo ha salvato però l’Emilia, quella provincia emiliana che ha sempre mischiato i generi musicali, soprattutto le canzoni che si cantano nei dischi e le arie che si cantano nelle opere. Lucio amava la lirica perché nella lirica “ogni dramma è un falso”, come spiega in Caruso, e perché gli piaceva perdersi nella vertigine della grande melodia. Da qui l’amicizia con Pavarotti, anche lui figlio della provincia emiliana. Di Luciano lo rapivano la sua straordinaria sensibilità ritmica (che in genere i cantanti d’opera non hanno) e il colore della voce che si trasformava in purezza di suono assoluta. Anche al suono di quella voce è dovuto il miracolo e il successo incredibile di Caruso versione sorrentina. Perché dal melodramma, diceva Lucio (anche se con lui non bisogna mai generalizzare), era nata prima la grande canzone napoletana, e poi quella italiana, la canzone d’autore, che una volta passava anche per Sanremo.
Ma non c’era l’opera lirica in cima alla sua classifica di musica classica. «Se dovessi fare una classificazione fra le mie preferenze, – aveva detto una volta, qualche anno prima di morire – metterei Mozart davanti a tutti, davanti al gruppo, come Coppi andava in fuga… E poi metterei Puccini e Mahler che in qualche modo si assomigliano. Credo che se non ci fossero stati questi due, Puccini e Mahler, molta della musica contemporanea non esisterebbe. Considero la Tosca come la regina di tutto il melodramma italiano». Puccini l’aveva incontrato la prima volta che aveva sette anni sul palco del Comunale di Bologna, nel Gianni Schicchi, dove lui faceva la parte di un bambino. Di quell’incanto (insieme ad altre cose più dolorose) si ricorderà nel 2003, quando decide di riscrivere la Tosca a modo suo; e nasce Tosca amore disperato, mescolando le identità, confondendo i generi e gli stili, come aveva fatto a suo tempo Miles Davis. Cioè reinventandola con le canzoni, perché, spiega, «il pubblico andava all’opera per ascoltare le canzoni, stava
delle ore a sentire Wagner… al Comunale di Parma c’era la cucina, si faceva da mangiare, quindi tra ragù, soffritto, drammi, canti, tutto era molto più vissuto».
Ma non c’è solo lo strazio del melodramma, c’è anche la bellezza luminosa di Mozart e l’allegria e la libertà favolosa e travolgente di Pierino e il lupo di Prokofiev con i Solisti Veneti, nel 1997, quando un Dalla in frac e coda da lupo, presta la sua voce a Pierino, anche se lui, come ai tempi del coyote, fa il tifo per la cattiveria della belva pelosa. Ma ciò non toglie che nelle sue mani Prokofiev diventi un rito gioioso. «Mi ha colpito – ricorda il maestro Scimone – il suo senso di umanità, la capacità di far diventare giovane il mondo attraverso la sua musica».
Dalla conosceva e amava il mondo della musica classica. A modo suo, da cantante e da musicista, abituato a star in mezzo alla gente, e quindi molto attento all’emozione, alla comunicazione, i tempi e i modi. «Ho conosciuto Lucio Dalla a casa sua, – ricorda Nazzareno Carusi, pianista classico di fama internazionale – davanti al vecchio e ancora bellissimo Steinway che la RCA gli aveva regalato. Passammo un’oretta dietro a Chopin, Scarlatti e Rachmaninoff. La sua voglia di musica e bellezza non conosceva sosta».
E una volta Carusi lo invitò a alla sua
trasmissione a cantare il Nessun dorma, dalla Turandot, creando una bella polemica tra i puristi del melodramma che lo accusavano di aver massacrato il suo amato Puccini e quelli che invece, hanno ricordato quell’avvenimento come un atto d’amore, «l’abbraccio di Lucio più bello al mondo classico dei suoni».
E sempre a proposito del suo strano ma intenso rapporto con la musica classica, Simone Baroncini (cugino di Dalla e primo corno al San Carlo di Napoli) raccontava come una volta, per telefono, Lucio gli abbia cantato a modo suo un’intera composizione di Čajkovskij, Romeo e Giulietta, un’ouverture fantastica di una ventina di minuti. Un’opera, tra l’altro, decisamente complessa, un poema sinfonico in forma sonata, con diversi temi che ritornano e si sovrappongono, e che Lucio ricordava perfettamente a memoria. Perché anche qui c’è il tema dell’amore disperato che ritorna, e la straordinaria invenzio- ne melodica del musicista russo è tutta concentrata nella fortissima frase d’amore che costituisce il cosiddetto secondo tema. E poi c’è il mito di Giulietta e Romeo che ha sempre incantato i seduttori e gli innamorati della vita. Berlioz confessava di aver conquistato una corsettaia di San Pietroburgo, sussurrandole all’orecchio una frase dell’adagio del suo Roméo et Juliette.
Un’altra volta, racconta ancora Baroncini, si presentò al San Carlo durante le prove della Salomè di Strauss, per salutarlo. A dirigere c’era il maestro Gustav Kuhn, che conosceva Lucio, e che fermò un momento l’orchestra… E di colpo si ritrovò tutti i musicisti in piedi che lo salutavano, insieme ai cantanti, fermi, felici. E quando qualcuno gli offrì la bacchetta del direttore, senza pensarci due volte cominciò a dirigere l’orchestra, pazziando, come solo lui sapeva fare. Questa cosa di presentarsi in mezzo agli orchestrali in prova all’im- provviso, gli piaceva molto. Magari solo per salutare il suo amico Pavarotti. E ogni volta era una festa, per tutti.
Insomma anche la classica faceva parte del suo essere musicista completo, vero, popolare. E come i grandi musicisti, Lucio aveva la capacità di fare musica per tutti, mettendoci dentro emozione e poesia. Ed è questo il significato più profondo della musica classica. La riprova è arrivata, questa primavera, da un amico e collaboratore di Lucio, il pianista Peppe D’Onghia, attraverso un concerto (per pianoforte, orchestra e coro) dedicato alle Variazioni sinfoniche su temi di Lucio Dalla. Con un risultato di grande coinvolgimento, dato proprio dalla capacità che ha la sua musica di prendere la forma sinfonica, cioè di «tracciare una linea continua tra le forme espressive della classicità, i temi del presente e le attese del futuro».